Lavoro sicuro e COVID-19: domande e risposte

Siamo entrati nella fase 2. Le attività produttive gradualmente riprendono ad operare ma le modalità con cui questa ripresa ha preso il via sono dettate da criteri di prudenza e cautela. Criteri talvolta generici per cui la loro attuazione nelle diverse realtà apre a dubbi ed interrogativi molto pratici.

Facciamo il punto sui principali dubbi nell’applicazione delle misure anti-COVID

La priorità resta quella di conciliare la ripresa delle attività lavorative con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità operative. Tutte le misure previste operano nell’ottica di proteggere i lavoratori dal contagio e di evitare che il contagio di COVID-19 si diffonda durante le attività per la presenza di soggetti portatori asintomatici del virus.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020 ha dettato le regole base per garantire una ripresa in sicurezza. Il ‘Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro’ allegato al DPCM 26/04/2020 è entrato nel dettaglio delle misure precauzionali, ma all’atto pratico molti dubbi ed interrogativi sono sorti agli attori incaricati dell’attuazione di quelle misure.

Questo focus è dedicato a rispondere alle domande principali che i professionisti ci hanno posto nei nostri incontri informativi. Le risposte sono corredate da immagini degli strumenti di SCHEDULOG, il software per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per fronteggiare la diffusione del contagio di COVID-19.

Dubbi e interrogativi nell’attuazione delle misure anti-contagio da COVID-19

Rimani aggiornato sulle procedure per attuare le misure anti-contagio da COVID-19

Protocollo anti-contagio da COVID-19: responsabilità e controlli

Chi redige il protocollo di sicurezza anti-contagio

Il Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento del contagio di COVID-19 è predisposto dal Datore di Lavoro in collaborazione con l’ RSPP e il medico competente.
È sempre auspicabile il confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti in azienda di lavoro e, per le aziende più piccole , con le rappresentanze territoriali. Questa prassi consente di condividere le disposizioni adottate e trovare soluzioni più efficaci grazie al contributo in termini di esperienza che possono portare i lavoratori (in particolare  RLS e i RLST), tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali.

Chi è incaricato all’esecuzione e monitoraggio delle misure?

Riguardo alle attività di monitoraggio e controllo è possibile far riferimento direttamente al DPCM del 20 aprile 2020 in cui si riporta:

art.9 – Esecuzione e monitoraggio delle misure

Il prefetto territorialmente competente, informando preventivamente il Ministro dell’interno, assicura l’esecuzione delle misure di cui al presente decreto, nonché monitora l’attuazione delle restanti misure da parte delle amministrazioni competenti. Il prefetto si avvale delle forze di polizia, con il possibile concorso del corpo nazionale dei vigili del fuoco e, per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dell’ispettorato nazionale del lavoro e del comando carabinieri per la tutela del lavoro, nonché, ove occorra, delle forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali, dandone comunicazione al Presidente della regione e della provincia autonoma interessata

A partire dal prefetto territorialmente competente, i soggetti coinvolti nelle attività di controllo sono molteplici. 

Per quanto riguarda l’attuazione delle misure per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro di cui ci occupiamo nel Protocollo anti-contagio di COVID-19, si fa riferimento all’ispettorato nazionale del lavoro e al comando dei carabinieri per la tutela del lavoro.

Sono previste sanzioni particolari se non si adottano misure anti-Covid?

La premessa del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro fra il Governo e le parti sociali” (Allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020) riporta che “la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino  adeguati livelli di protezione. La mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.”

Se ne deduce che la mancata attuazione di misure anti-COVID implichi la sospensione delle attività. Posta la necessità di attuare le disposizioni previste dal Protocollo di regolamentazione di cui all’allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020, è necessario redigere il Protocollo o basta attuare le disposizioni anti-contagio necessarie?

Sempre nella premessa del Protocollo si asserisce:

Premessa – Allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020

Ferma la necessità di dover adottare rapidamente un Protocollo di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus che preveda procedure e regole di condotta, va favorito il confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti nei luoghi di lavoro, e per le piccole imprese le rappresentanze territoriali come previsto dagli accordi interconfederali, affinché ogni misura adottata possa essere condivisa e resa più efficace dal contributo di esperienza delle persone che lavorano, in particolare degli RLS e degli RLST, tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali.

Quindi è necessario “adottare rapidamente” un Protocollo di sicurezza anti-contagio di COVID-19 che sintetizzi le misure previste nella propria azienda in considerazione della specificità delle attività svolte e dei luoghi in cui gli addetti si trovano ad operare.

Cartelli informativi da esporre in azienda prodotti con SCHEDULOG COVID-19

Aggiornamento del DVR o Protocollo anti-contagio da COVID-19?

Per rispondere a questa domanda è utile fare un passo indietro e ricordare che l’oggetto delle analisi incluse nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) è la valutazione dei rischi come inteso dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008 – TU 81/2008):

art. 2 TU 81/2008

q) «valutazione dei rischi»: valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza;

I rischi oggetto di analisi nel DVR sono quelli prevedibili nell’ambito dell’organizzazione in cui i dipendenti prestano il proprio servizio. Per questi rischi il Datore di Lavoro è tenuto a individuare adeguate misure di prevenzione e di protezione per ridurre la probabilità di evenienza del rischio o per attenuarne gli effetti.

Quando si tratta di “prevenzione” il TU 81/2008 definisce:

art. 2 TU 81/2008

n) «prevenzione»: il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno;

Qui il TU 81/2008 aggiunge che i rischi prevedibili nell’ambito dell’organizzazione sono rischi professionali.

Il rischio di contagio da COVID-19 è da considerarsi un rischio professionale? È un rischio specifico tale da apportare modifiche al DVR che li contiene e tratta?

Teniamo presente che per COVID-19 si intende la malattia provocata dal nuovo virus detto SARS-CoV-2, “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” appartenente alla famiglia dei Coronavirus, virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

Il Coronavirus è dunque un agente patogeno che può rientrare a tutti gli effetti nella categoria degli “agenti biologici“. Il TU 81/2008 tratta i rischi connessi all’esposizione di agenti biologici e ne stabilisce le misure di sicurezza dedicandone un Titolo intero, il Titolo X “Esposizione ad agenti biologici”. Qui troviamo la definizione di agente biologico:

Articolo 267 TU81/2008 – Definizioni

1. Ai sensi del presente Titolo s’intende per:
a) agente biologico: qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;
b) microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico;
c) coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Alla domanda: “È necessario aggiornare il DVR per tener conto del rischio di contagio da COVID-19?” potremmo rispondere: dipende.


Il DVR deve essere aggiornato in tutte quelle realtà in cui l’esposizione a rischio biologico è già contemplata e il SARS-CoV-2 di fatto incrementa il rischio rispetto alle consuete attività.

In quelle aziende i cui processi produttivi interni non presentano “agenti biologici” specifici, il Coronavirus è un rischio proveniente dall’esterno ed è dunque un rischio non prevedibile dal Datore di lavoro adottando specifiche procedure organizzative interne.

Le attività per cui è presumibile un aggiornamento del DVR sono quelle elencate nell’Allegato XLIV del TU 81/2008.

ALLEGATO XLIV – TU 81/2008

ELENCO ESEMPLIFICATIVO DI ATTIVITÀ LAVORATIVE CHE POSSONO COMPORTARE LA PRESENZA DI AGENTI BIOLOGICI:

Attività in industrie alimentari.
Attività nell’agricoltura.
Attività nelle quali vi è contatto con gli animali e/o con prodotti di origine animale.
Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem.
Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica.
Attività impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti.
Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

Per le altre attività è necessario predisporre un Protocollo di Sicurezza anti-contagio da COVID-19 con le precauzioni che si intende adottare per contrastare la diffusione di COVID-19.

Protocollo di sicurezza anti-contagio prodotto con SCHEDULOG COVID-19

COVID-19 e cantieri: è necessario aggiornare PSC e POS?

Il riferimento per le attività nei cantieri edili è l’Allegato 7 al DPCM 26/04/2020: “Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid–19 nei cantieri edili”.

Qui troviamo indicato che:

“Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid – 19 nei cantieri edili” Allegato 7 del DPCM 26 aprile 2020

Il coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori, ove nominato ai sensi del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, provvede ad integrare il Piano di sicurezza e di coordinamento e la relativa stima dei costi. I committenti,attraverso i coordinatori per la sicurezza,vigilano affinché nei cantieri siano adottate le misure di sicurezza anticontagio.

Le responsabilità previste dal Protocollo di regolamentazione paiono in linea con quelle già previste dal TU 81/2008.  È responsabilità del Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) adeguare il piano di sicurezza e di coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, e di verificare che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi di sicurezza. La responsabilità del CSE si spinge fino alla sospensione delle attività in caso di pericolo grave ed imminente.

La situazione di emergenza sanitaria legata all’epidemia da Coronavirus richiede disposizioni specifiche per garantire la salute non solo di chi opera all’interno del cantiere ma anche di chi potrebbe essere a sua volta contagiato. Per questo devono essere messe in campo tutte le misure che riducano i contatti al minimo e diminuiscano le possibilità di contagio di COVID-19.

Queste disposizioni devono rientrare sia nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) che nel Piano Operativo di Sicurezza (POS) sicuramente per i cantieri in attività.

Quali misure includere nel PSC e quali nel POS?

Le misure di sicurezza da includere nel PSC e quelle da includere nel POS devono seguire le specificità di ciascuno dei due piani nella trattazione dei rischi.


Il PSC sintetizza i rischi derivanti dall’interazione sia tra i soggetti che operano all’interno del cantiere (nell’utilizzo di spazi e attrezzature comuni) sia tra addetti attivi in cantiere e realtà presenti nell’ambiente circostante. Le soluzioni che vengono proposte nei piani di sicurezza sono generalmente procedure di coordinamento e pianificazione dell’area di cantiere e delle attività.

Il POS invece riporta la valutazione dei rischi legata alle modalità di svolgimento delle attività di cantiere e all’utilizzo di macchine, attrezzi e sostanze pericolose per svolgere le varie mansioni. Le soluzioni proposte per attenuare i rischi sono l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e l’organizzazione pianificata dei turni di lavoro in base al livello di esposizione ai rischi stessi.

Possiamo adottare lo stesso criterio per l’aggiornamento di POS e PSC con le misure precauzionali specifiche per l’emergenza COVID-19.
Per il PSC è opportuno prevedere le seguenti disposizioni di sicurezza.

  • Misure igienico sanitarie e di comportamento generali da mantenere in cantiere adottando sistemi informativi chiari e precisi (dépliant e cartelli informativi).
  • Gestione delle misure di controllo per gli accessi al cantiere (controllo della temperatura e gestione dei fornitori)
  • Misure per evitare la diffusione del contagio di COVID-19 tra addetti di imprese differenti che operano contestualmente in cantiere. In questo caso è possibile adottare un piano di gestione delle presenze in cantiere rivalutando quali attività possono essere attuate e con quali tempistiche.
  • Rimodulazione temporale delle attività con un contestuale aggiornamento del cronoprogramma dei lavori.
  • Gestione degli spazi comuni quali baraccamenti, servizi igienici, aree di svago, mensa, spogliatoio e magazzino in termini di accesso e permanenza.
  • Programmazione delle attività di pulizia e sanificazione degli ambienti, specialmente le aree comuni.
  • Pianificazione della gestione di personale sintomatico o di situazioni di emergenza.

Nel POS si fa riferimento alla singola impresa edile ed il Datore di Lavoro delinea le misure di sicurezza specifiche per le attività svolte dai propri dipendenti.
In tutte le attività per le quali emerga il rischio di contagio il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi al rischio. Si pensi ad esempio alle attività in cui è necessaria la presenza di più lavoratori o in cui è necessario l’utilizzo promiscuio di attrezzature o macchine. Il datore di lavoro stabilisce procedure più sicure per svolgere la lavorazione riducendo il rischio di contagio da COVID-19.


È tenuto inoltre ad assicurare che i dipendenti dispongano dei dispositivi igienici necessari alla propria pulizia, che abbiano in dotazione indumenti di lavoro e protettivi che vengano tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, conservati separatamente dagli altri indumenti, e disinfettati. Infine cura che i dispositivi di protezione individuale ove non siano mono uso, siano controllati, disinfettati e puliti dopo ogni utilizzazione.

Protocollo di sicurezza anti-contagio da COVID-19  per il cantiere prodotto con SCHEDULOG

COVID-19 e cantieri: chi sostiene i costi per le misure anti-COVID?

Per rispondere a questa domanda distinguiamo per prima cosa gli oneri dai costi della sicurezza. Gli oneri della sicurezza sono quelli a carico del Datore di Lavoro dell’impresa edile mentre i costi della sicurezza sono quelli computati nel Piano di Sicurezza e Coordinamento e sono a carico del Committente.


Per distinguere i costi da attribuire all’impresa da quelli da attribuire al datore di lavoro possiamo far riferimento a quanto specificato nel precedente paragrafo. È logico attribuire all’impresa i costi relativi alle misure riportate nel POS e al committente quelle riportate nel PSC.


Sul committente ricadono quindi i costi legati alle “interferenze” tra i soggetti coinvolti in cantiere e quelli legati alla gestione e al coordinamento di cantiere:

  • costi legati alle procedure di coordinamento
  • costi per il controllo della temperatura e la gestione degli ingressi in cantiere
  • costi per le misure anti-COVID nell’interferenza tra dipendenti di imprese diverse (anche DPI);
  • costi legati alla pulizia e sanificazione degli ambienti
  • costi legati alla gestione delle emergenze e di personale asintomatico

Al Datore di lavoro spettano invece gli oneri legati a:

  • formazione dei propri dipendenti,
  • gestione del trasporto dall’azienda al cantiere,
  • riorganizzazione delle attività per ridurre il contatto tra i lavoratori
  • dotazione di attrezzature personali per ciascun dipendente
  • disposizioni igienico-sanitarie e DPI a disposizione dei dipendenti

La soluzione ideale sarebbe che Committente e imprese raggiungessero un accordo per condividere i costi. Questo approccio consentirebbe di tutelare tutte le parti coinvolte e già notevolmente gravate dal peso economico e sociale dell’interruzione delle attività.

Stima dei costi da sostenere per le misure anti-contagio da COVID-19 con SCHEDULOG

Come scegliere i DPI?

La scelta dei DPI più opportuni è fondamentale per contrastare il contagio da COVID-19 e deve essere condotta sulla base delle analisi di rischio svolte per ciascuna attività aziendale. Non sono quindi definibili a priori i dispositivi di protezione più opportuni, ma devono essere tarati sulle base della tipologia di processi svolti in azienda. 


Questa indicazione dettagliata sui DPI è stata introdotta nella versione aggiornata del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro fra il Governo e le parti sociali” (Allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020) per cui si chiarische:

Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro Allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020

6-DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale indicati nel presente Protocollo di Regolamentazione è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio.

qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie.

nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro sulla base del complesso dei rischi valutati e, a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda,si adotteranno i DPI idonei. E’ previsto, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica, come del resto normato dal DL n. 9 (art. 34) in combinato con il DL n. 18 (art 16 c. 1)

Riguardo alla scelta delle mascherine da adottare in tutti i casi in cui la distanza interpersonale sia inferiore a 1m ricordiamo alcune specificità di ciascuna tipologia di mascherina.

Mascherine chirurgiche

Le mascherine chirurgiche ricadono nell’ambito dei dispositivi medici di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1997, n.46 e s.m.i.. e sono normate dalla UNI EN 14683:2019 che prevede caratteristiche e metodi di prova.


Le mascherine chirurgiche limitano la trasmissione di agenti infettivi e hanno lo scopo di evitare che chi le indossa contamini l’ambiente in cui opera contagiando chi è a lui prossimo. Non proteggono chi le indossa, ma se vengono indossate da tutti comportano la reciproca protezione da contagio di COVID-19.
Sono generalmente utilizzate in ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a pazienti (ad esempio case della salute, ambulatori, ecc).

Mascherine FFP1, FFP2 e FFP3

Le maschere facciali filtranti (mascherine FFP1, FFP2 e FFP3) ricadono nell’ambito dei dispositivi di protezione individuale e sono certificati ai sensi di quanto previsto dal D.lgs. n. 475/1992 e sulla base di norme tecniche armonizzate (UNI EN 149:2009).


La maschere facciali filtranti hanno lo scopo di proteggere chi la indossa da agenti patogeni esterni (anche da trasmissione di infezioni da goccioline e aerosol) e chi opera in prossimità solo se non sono dotate di valvola di espirazione.

Altri tipi di mascherine

Ogni altra mascherina reperibile in commercio (come ad esempio la mascherina igienica) non può essere considerata un dispositivo medico né un dispositivo di protezione individuale; può essere prodotta ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020, sotto la responsabilità del produttore che deve comunque garantire la sicurezza del prodotto (a titolo meramente esemplificativo: che i materiali utilizzati non sono noti per causare irritazione o qualsiasi altro effetto nocivo per la salute, non sono altamente infiammabili, ecc.).
Per queste mascherine non è prevista alcuna valutazione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’INAIL.
Chi la indossa deve comunque rispettare le norme precauzionali sul distanziamento sociale e le altre introdotte per fronteggiare l’emergenza COVID-19.

Dove butto le mascherine usate

Su questo tema, il DPCM 26/04/2020 non fornisce indicazioni specifiche. E’ possibile far riferimento alle indicazioni di alcune Regioni (per esempio Lombardia e Piemonte) che richiedono di smaltire le mascherine utilizzate come rifiuti speciali solo nel caso di persona infetta o sintomatica. Negli altri casi, le mascherine possono essere conferite in appositi contenitori chiusi per la raccolta indifferenziata.

Maschere e protezione da Coronavirus

Il contagio di COVID-19 è considerato un infortunio sul Lavoro?

Per rispondere a questa domanda facciamo riferimento al DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 ‘Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19’ che all’articolo 42 riporta:

Art.42 del DL 17 marzo 2020

2. Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.
Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019.
La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati.

Nei casi accertati dal medico certificatore l’Inail tutela il lavoratore nei confronti di malattie infettive e parassitarie, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro: in questi casi la causa virulenta è equiparata a quella violenta. Quindi in caso di contagio accertato sui luoghi di lavoro si tratta di infortunio a tutti gli effetti. 

In quali ambiti si estende la tutela?

Con la Circolare 13 del 3 aprile 2020, INAIL chiarisce quali sono gli ambiti di tutela differenziando le attività in base alla gravità del rischio: 

  • per gli operatori sanitari che svolgono un’attività certamente ad alto rischio di contagio vige la presunzione semplice di origine professionale, considerata l’ elevatissima probabilità che tali operatori vengono a contatto con il nuovo coronavirus.
  • per gli operatori che svolgono attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza si considera l’esposizione come ad alto rischio e vale il principio della presunzione semplice di origine professionale come per gli operatori sanitari; in via esemplificativa, ma non esaustiva, ci si riferisce ai lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc.
  • per altre attività, l’episodio che ha determinato il contagio di COVID-19 non è noto o non può essere provato dal lavoratore, né si può presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazione; la tutela è quindi estesa solo in caso di accertamento medico-legale sulle cause del contagio, condotto con le procedure ordinarie, valutando i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.

Sono tutelati dall’Istituto anche i casi di contagio da COVID-19 avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere. Poiché il rischio di contagio di COVID-19 è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici affollati, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza è necessario ove possibile ricorrere all’utilizzo del mezzo privato.

Quali sono le conseguenze di questa scelta?

Trattandosi di infortunio, al Datore di Lavoro sono attribuite responsabilità anche penali se non dimostra di aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie a contrastare la diffusione del contagio di COVID-19.


È quindi fondamentale che il Datore di Lavoro non trascuri l’importanza di garantire che i luoghi di lavoro siano per i propri dipendenti sicuri per la loro salute e incolumità.


D’altra parte l’evenienza di un contagio porta a conseguenza particolarmente gravose anche per il Datore di Lavoro stesso e per l’attività imprenditoriale. Un ulteriore periodo di quarantena per tutti i dipendenti e l’attuazione delle misure di sanificazione porterebbero ad un’ulteriore interruzione della produzione con conseguenze economiche disastrose.

Check-list di SCHEDULOG per il controllo della sicurezza anti-contagio

Che differenza c’è tra pulizia e sanificazione degli ambienti?

Il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro” dedica un paragrafo alla pulizia e sanificazione negli ambienti di lavoro, evidenziando più volte questa come una delle misure principali per evitare la diffusione del contagio (insieme al distanziamento interpersonale). Le misure precauzionali sono così citate:

“Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro” Allegato 6 del DPCM 26 aprile 2020

PULIZIA E SANIFICAZIONE IN AZIENDA
l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago;

nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione dei suddetti secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute nonché alla loro ventilazione;

occorre garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi;

l’azienda in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della Salute secondo le modalità ritenute più opportune, può organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga);

nelle aree geografiche a maggiore endemia o nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di COVID-19, in aggiunta alle normali attività di pulizia, è necessario prevedere, alla riapertura, una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni, ai sensi della circolare 5443 del 22 febbraio 2020.

Per fare chiarezza sulla distinzione tra pulizia, igienizzazione e sanificazione è utile far riferimento al DM 274/1997 che disciplina le attività di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione. Queste le definizioni:

  • attività di pulizia: operazioni svolte per rimuovere polveri, materiale non desiderato o sporcizia da superfici, oggetti, ambienti confinati ed aree di pertinenza;
  • attività di disinfezione: operazioni svolte per rendere sani determinati ambienti confinati e aree di pertinenza mediante la distruzione o inattivazione di microrganismi patogeni;
  • attività di disinfestazione: operazioni svolte per distruggere piccoli animali (parassiti vettori o riserve di agenti infettivi e non desiderati );
  • attività di derattizzazione: operazioni atte a determinare o la distruzione completa oppure la riduzione del numero della popolazione dei ratti o dei topi al di sotto di una certa soglia;
  • attività di sanificazione: operazioni per rendere sani gli ambienti mediante pulizia e/o disinfezione e/o disinfestazione oppure mediante il controllo e il miglioramento del comfort per quanto riguarda temperatura, umidità, ventilazione, illuminazione e rumore.

Per quanto riguarda i requisiti richiesti alle imprese che si occupano di tali attività, il DM 274/97 prevede per le imprese che si occupano di pulizie e disinfezione la capacità economico finanziaria per l’esercizio delle attività mentre per le imprese che si occupano di disinfestazione, derattizzazione e sanificazione oltre ai requisiti precedenti, anche la presenza di un preposto alla gestione tecnica in possesso di riconosciuti requisiti tecnico-organizzativi.

Il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro” non entra nel dettaglio della periodicità della pulizia e sanificazione ma è conveniente dedurre che per pulizia e sanificazione ordinaria si intenda la disinfezione come indicata dal DM 274/97 con l’obiettivo sia di rimuovere materiali non desiderati che inattivare eventuali agenti biologici patogeni.

Per le operazioni di pulizia e disinfezione si raccomanda l’utilizzo dei comuni disinfettanti di uso ospedaliero, quali ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%), per un tempo di contatto adeguato.
Nel caso invece si presenti un caso sintomatico o un caso accertato di contagio da COVID-19 è necessario ricorrere ad una sanificazione straordinaria con impresa specializzata che dispone di preposto alla gestione tecnica.


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Ingegnere per l’Ambiente ed il Territorio, con specializzazione in Geotecnica e Difesa del Territorio e svolgo attività professionale presso la software house Logical Soft.
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